Prima di affrontare la questione chiariamo che per “procedure a doppio oggetto” intendiamo quelle procedure con le quali si stabilisce prima la creazione della società (misto pubblico privata) e poi l'affidamento del contratto di servizio con gara pubblica.
Sorge quindi il quesito se tali procedure a doppio oggetto possano “dissolvere” il limite di legge della partecipazione pubblica ed esporre l'Ente pubblico ad un rischio maggiore di quello che effettivamente voleva e poteva affrontare.
E quindi se “E' legittima l'esclusione della società mista dalla gara ove fosse aggirato il limite di rischio che l'amministrazione si era prefissata di raggiungere?”
La risposta è è affermativa ma scopriamo i passi per giungere a tale esito, vista l'ampia discrezionalità di cui gode l'amministrazione nella applicazione della normativa di stampo comunitario e prescritta nel nostro paese dal D.lgs 175/2016.
Farmacie Comunali, le partecipazioni indirette
Ecco che con sentenza del 1° agosto 2022 (causa C-332/20), la Corte di giustizia ha risposto ad un quesito in tema di partecipazioni societarie comunali indirette dichiarando che:
un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico da una procedura “a doppio oggetto”, volta da un lato a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della prima al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata ove scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio.
Tale conclusione viene comunque subordinata alla condizione che “un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice”. Conforme CdS 9034/23.
E ciò facendo applicazione delle prescrizioni dell'art. 17 del D.ls 175/2016 secondo cui “la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento”, coerentemente con la previsione dell’art. 17, d.lgs. n. 175 del 2016 ed alla luce della motivazione per cui il rapporto pubblico/privato debba essere del 51% al 49 % per garantire anche un necessario controllo da parte dell’Amministrazione sulle scelte fondamentali della società”.
Ed inoltre la giurisprudenza del Consiglio di Stato – parere 687/22 - ha esaminato più volte la questione concernente l’ammissibilità di forme di gestione delle farmacie comunali non previste dall’articolo 9 della l. 475 del 1968, poiché, ad esempio, fra le forme di gestione individuate dalla predetta norma speciale non è stato previsto l’affidamento in concessione a terzi.
Farmacie Comunali, le partecipazioni indirette
Sul punto osserva la sentenza, sez. III, 13 novembre 2014, n. 5587, che lo stesso legislatore ha previsto forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell'art. 9 della legge 475 del 1968 che, dunque, non sono tassative.
Ed invero, “non si dubita … che la gestione di una farmacia comunale possa essere esercitata da un comune mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), benché tale modalità non sia stata prevista dal legislatore del 1968 (e del 1991), in coerenza con l’evolversi degli strumenti che l’ordinamento ha assegnato agli enti pubblici per svolgere le funzioni loro assegnate; e non si dubita che la gestione possa essere esercitata, come si è accennato, anche da società miste pubblico/private (…), con il superamento del limite dettato dall’art. 9 della l. n. 475 del 1968, secondo cui la gestione poteva essere affidata a società solo se costituite tra il comune e i farmacisti. (…) L’affidamento della gestione è peraltro consentito in house a patto che il Comune eserciti sulla società un “controllo analogo” a quello che eserciterebbe su proprie strutture organizzative, nel concetto di controllo analogo essendo peraltro ricompresa la destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione aggiudicatrice”.
È stato altresì chiarito con la stessa pronuncia che “si deve ritenere che un comune, nel caso in cui non intenda utilizzare per la gestione di una farmacia comunale i sistemi di gestione diretta disciplinati dall’art. 9 della legge n. 475 del 1968, possa utilizzare modalità diverse di gestione anche non dirette; purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico. In tale contesto, pur non potendosi estendere alle farmacie comunali tutte le regole dettate per i servizi pubblici di rilevanza economica, non può oramai più ritenersi escluso l’affidamento in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali attraverso procedure di evidenza pubblica.
Del resto l’affidamento in concessione a terzi attraverso gare ad evidenza pubblica costituisce la modalità ordinaria per la scelta di un soggetto diverso dalla stessa amministrazione che intenda svolgere un servizio pubblico”.
Peraltro, si ritiene oggi unanimemente che l’assenza di una norma positiva che autorizzi la dissociazione tra titolarità e gestione non crei un ostacolo insormontabile all’adozione del modello concessorio.
Con riguardo al profilo afferente alla tutela della salute, l’obiettivo del mantenimento in capo al Comune delle proprie prerogative di Ente che persegue fini pubblicistici può essere garantito – in caso di affidamento a terzi – dalle specifiche regole di gara e, più precisamente, dagli obblighi di servizio pubblico da imporre al concessionario, idonei a permettere un controllo costante sull’attività del gestore e di garantire standard adeguati di tutela dei cittadini. In questo senso, l’impostazione risulta perfettamente in linea con il principio comunitario di proporzionalità, per cui le restrizioni al regime di piena concorrenza sono effettivamente ammesse nei limiti in cui risulti strettamente necessario con l’obiettivo da perseguire (nella specie, la salvaguardia della salute pubblica e del benessere dei cittadini) (così T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 1 marzo 2016, n. 309).
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