Non di rado ci viene rappresentata la domanda relativa ai diritti del familiare di titolare di farmacia che gestisca la farmacia nella forma dell'impresa familiare, oggi ci viene chiesto di chiarire quali siano le tutele apprestate al "convivente di fatto" e quindi se al convivente siano estensibili le tutele apprestate in tema di "familiari" dall'art. 230 bis del codice civile.
Sin da subito precisiamo che le norme in tema di impresa familiare sono essenzialmente due, una di carattere civilistico che ne delinea i tratti a livello di gestione (art. 230 bis cc) e l'altra di carattere fiscale, ovvero l'art. 5 del Tuir.
L'impresa familiare per la maggiore giurisprudenza è considerata impresa individuale, ove quindi permane per l'attività ordinaria la gestione del singolo. Non si tratta quindi di società. La Corte di Cassazione, ha chiarito nella sentenza 1553/20 che ai fini della partecipazione in un’impresa familiare non è richiesta una continuità di presenza in azienda, tuttavia è necessaria una continuità dell’apporto da parte del familiare, va anche precisato che l'impresa familiare è volta a coprire ambiti di lavoro che non rientrino nell’archetipo del rapporto di lavoro subordinato o per le quali non sia raggiunta la prova dei connotati tipici della subordinazione ed a confinare in un’area limitata il lavoro familiare gratuito.
Ora, come già evidenziato l'impresa familiare è, comunque, un'impresa individuale e, di conseguenza, si applica la disciplina ordinaria dell'impresa individuale, salvo le specifiche norme dirette a regolamentare e tutelare il lavoro dei familiari nell'impresa e nella famiglia.
Farmacia ed impresa familiare
La disciplina dell'impresa familiare ha un valore per quel che sono i rapporti interni tra l'imprenditore e i familiari partecipanti, diversamente per i terzi esterni la disciplina è quella relativa ad un imprenditore individuale. Ecco quindi che la caratteristica dell'impresa familiare è quella di tutelare il lavoro dei familiari, ed infatti usualmente i redditi prodotti e corrisposti al familiare seguono la dizione di “Redditi di partecipazione in società esercenti attività d'impresa”.
Farmacia ed impresa familiare, quali sono i diritti dei familiari non titolari?
Considerando che l art. 230-bis c. c. dispone che le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa, ne deriva che la gestione ordinaria compete esclusivamente al singolo titolare dell'impresa, non siamo quindi in una società a maggioranza né all'interno di un consiglio di amministrazione, bensì nell'alveo dell'imprenditore individuale.
Tuttavia visto invece che ai fini fiscali l'art. 5 del TUIR prevede che "I redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230 bis del codice civile, limitatamente al 49 per cento dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare.."
Il convivente di fatto entra di diritto nell'impresa di Famiglia
A seguito della Storica sentenza della corte costituzionale n. 148 del 4 Luglio 2024 il convivente di fatto entra di diritto nelle tutele dell'impresa familiare e lo fa dalla porta principale, ovvero quella prevista per i familiari di cui all'art. 230 bis co. 3.
Viene quindi abrogato l'art. 230 ter previsto proprio fino ad oggi per tutele minori dle convivente di fatto.
Vediamo nel dettaglio la disciplina della
Farmacia e dell'Impresa Familiare.
In forza della previsione di cui all’art. 230-bis cod. civ., il familiare che presta la propria attività di lavoro, in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa familiare, cioè a favore di un imprenditore a lui legato, ai sensi del comma terzo, da vincolo di coniugio, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo, gode di una complessiva posizione partecipativa che consta sia di diritti patrimoniali che di diritti amministrativo-gestori.
Dirtti del familiare:
Sotto il profilo economico, il familiare ha innanzitutto diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e, in caso di buon andamento dell’attività d’impresa, ha diritto ad una quota di utili e di incrementi, anche in ordine all’avviamento, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e partecipa, sempre in detta proporzione, ai beni acquistati con gli utili.
Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate a maggioranza, così garantendo al familiare un trattamento diverso rispetto a quello normalmente riservato ad un lavoratore subordinato in ragione del particolare vincolo di solidarietà familiare che lega i partecipanti all’impresa.
Cosa è l'impresa familiare
Secondo il diritto vivente l’impresa familiare non costituisce una modalità di gestione collettiva dell’impresa, bensì una forma di collaborazione all’interno di essa e la norma di cui all’art. 230-bis cod. civ. disciplina unicamente il rapporto che si instaura tra soggetti – il familiare (o i familiari) e l’imprenditore – per effetto dello svolgimento della prestazione di lavoro, senza con ciò interferire sulla imputazione dell’attività d’impresa, di cui resta titolare l’imprenditore che è l’unico soggetto ad agire sul piano dei rapporti esterni, assumendo il rischio inerente all’esercizio dell’impresa; il diritto del singolo prestatore di lavoro non è condizionato dall’analogo diritto che spetta agli altri familiari, in quanto esso è commisurato alla qualità e quantità del lavoro prestato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 gennaio 2005, n. 874).
Secondo il diritto vivente l’impresa familiare non costituisce una modalità di gestione collettiva dell’impresa, bensì una forma di collaborazione all’interno di essa e la norma di cui all’art. 230-bis cod. civ. disciplina unicamente il rapporto che si instaura tra soggetti – il familiare (o i familiari) e l’imprenditore – per effetto dello svolgimento della prestazione di lavoro, senza con ciò interferire sulla imputazione dell’attività d’impresa, di cui resta titolare l’imprenditore che è l’unico soggetto ad agire sul piano dei rapporti esterni, assumendo il rischio inerente all’esercizio dell’impresa; il diritto del singolo prestatore di lavoro non è condizionato dall’analogo diritto che spetta agli altri familiari, in quanto esso è commisurato alla qualità e quantità del lavoro prestato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 gennaio 2005, n. 874).
Ed ecco quindi la conclusione, il convivente di fatto è stato annoverato tra i familiari a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 4 Luglio n. 148/2024.
L'approdo della Corte Costituzionale del 4 Luglio 2024 va operata inserendo il convivente di fatto dell’imprenditore nell’elenco dei soggetti legittimati a partecipare all’impresa familiare di cui al terzo comma dell’art. 230-bis cod. civ., e quindi prevedendo come impresa familiare quella cui collabora anche «il convivente di fatto».
Ai conviventi di fatto, intendendosi come tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale» (art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016), vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore.
Leggi pure: "Farmacia ed impresa familiare"
Avv. Aldo Lucarelli
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