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Le preparazioni galeniche ed i limiti imposti dallo Stato, il caso della sertalina ed altri.








Rispondiamo prendendo spunto sulla impugnativa del decreto relativo al


“Divieto di prescrizione di preparazioni magistrali contenenti il principio attivo sertralina ed altri”


In tale occasioni il TAR non ha condiviso le argomentazioni in ordine alla libertà di prescrizione e sulla competenza del solo medico della valutazione della sicurezza nella somministrazione di un medicinale di cui non esiste l’equivalente autorizzato sul mercato, e ciò in quanto la libertà del medico


“non riceve garanzia in senso assoluto, ma deve necessariamente coordinarsi con altri interessi di rilievo collettivo cui l'ordinamento dello Stato può assegnare valore preminente” (TAR Lazio, III quater, n. 2225/2017).


E che l’operato del medico preparatore galenico debba necessariamente coordinarsi con le funzioni di controllo riservate allo Stato,

è un principio risalente al 2017 secondo cui:


“per quanto concerne i preparati galenici ed in genere i medicinali preparati in farmacia le funzioni di controllo sono state riservate allo Stato dall'art.6 lett.c) della L. n.833/1978;

Normativa


Infatti la normativa è chiara e stringente, ecco quindi che la possibilità di introdurre divieti di utilizzazione di medicinali di cui è stata accertata la pericolosità per la salute pubblica, già prevista dall'art.126 del T.U.L.P.S. n.1265/1934, ha trovato conferma nell'art.25, comma 8, del d.lgvo n.178/1992 con specifico riferimento alle preparazioni eseguite in farmacia;


L'art.5, comma 1, della L. n.94/1998, nel dettare norme in materia di sperimentazione clinica, ribadisce con riguardo alle prescrizioni di preparati magistrali, l'obbligo di osservanza dei divieti e delle limitazioni stabilite dall'amministrazione a tutela della salute pubblica;


Tale quadro normativo è stato integralmente confermato da ultimo dal D.lgvo n.219/2006, il cui art.154, comma 2, stabilisce che "Il Ministro della Salute può vietare la utilizzazione di medicinali, anche preparati in farmacia, ritenuti pericolosi per la salute pubblica".”


Il tutto suffragato dagli articoli 32 della Costituzione, Tutela della Salute, e dall'art. 36 del Trattato sull'Unione Europea, che prevalgono sulla libertà di iniziativa economica anch'essa sancita nell'art. 41 della nostra Costituzione.

A livello giudiziario poi

Il TAR si è occupato del rapporto tra diritto alla salute e libertà di iniziativa economica ed ha statuito che “l'art. 32 Cost. attribuisce alla Repubblica la funzione di tutelare la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, attribuendo allo Stato e all'ordinamento pubblicistico una funzione attiva e penetrante, mentre l'art. 41 Cost. detta i principi che costituiscono il limite esterno alla libertà dell’iniziativa economica”, cfr. TAR Lazio, III quater, 7 febbraio 2008, n. 1088.


In ordine al rapporto tra diritto alla salute e concorrenza più recentemente la Corte Costituzionale, ribadendo la legittimità del divieto per le parafarmacie di vendere farmaci in fascia C perché necessitanti di prescrizione medica, ha avuto modo di ribadire quanto dalla sua stessa giurisprudenza più volte osservato e che cioè: “Non sussiste, neppure, l'asserita violazione dell'art. 41 Cost. e del principio di tutela della concorrenza in quanto, in conformità col consolidato orientamento della Corte, il regime delle farmacie va ricondotto nella materia della «tutela della salute», anche se questa collocazione non esclude che alcune delle relative attività possano essere sottoposte alla concorrenza,…”, (C. Cost., 17 luglio 2014, n. 216).

D’altro canto il Consiglio di Stato ha ribadito poi che la moderna medicina dell’evidenza richiede che la prescrizione di un farmaco si fondi su accertati profili di accertata efficacia e sicurezza di questo.


ecco quindi che prima la normativa, e poi la giurisprudenza hanno evidenziato un approccio prudente che ha sacrificato la libertà in funzione della sicurezza.

L’approccio ormai dominante della scienza medica a partire dagli anni ’90 del secolo scorso nella scelta della terapia più adatta sia quello dell’evidenza scientifica, la c.d. l’evidence based medicine (EBM), alle cui fondamentali acquisizioni può qui farsi solo qualche breve cenno. La scelta della cura avviene, secondo tale metodologia, sulla base delle migliori prove di efficacia clinica e, in particolare, di studi clinici a carattere sperimentale, randomizzati e controllati (RCT – controlled randomized trial), che costituiscono il c.d. gold standard della ricerca medica.


La medicina basata sulle prove, secondo la definizione dei suoi fondatori, è «l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica con la esperienza e l’abilità del medico ed i valori del paziente».


Il medesimo concetto è stato espresso anche in un altro modo e, cioè, con la precisazione che «l’uso cosciente, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze (cioè prove di efficacia) biomediche al momento disponibili, al fine di prendere le decisioni per l’assistenza del singolo paziente».


Il Consiglio di Stato poi ha già affermato che è la scienza ad indicare al legislatore, ma anche all’individuo le opzioni terapeutiche valide, che questi può scegliere, e «non è certo l’individuo, ancorché dotato di proprie personali competenze e di un sapere asseritamente superiore, a forgiarsi una cura da indicare alla scienza e al legislatore, costruendosi una cura “parallela”, “propria”, “privata”, non controllabile da alcuno e non verificabile in base ad alcun criterio scientifico di validazione» (Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045, §§ 46.7. e 46.8.).


Per questo, va qui ribadito, la libertà e il progresso della scienza tutelati dagli artt. 9 e 33 Cost., di cui lo stesso art. dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 23 del 1998 già richiamato è esso stesso espressione, non sono né possono essere anarchici o erratici (così, ancora, la citata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045).


Non è possibile insomma venir meno al «principio di doverosa cautela nella validazione e somministrazione di nuovi farmaci» (Corte cost., 10 dicembre 2014, n. 274, nel noto caso Stamina).

Ed ecco la Conclusione sulla possibilità del Giudice Amministrativo di sindacare tali scelte:

Per usare altri termini il giudice amministrativo deve poter verificare che l’amministrazione abbia applicato in modo corretto alla vicenda concreta, in conformità ai principî proprî del metodo scientifico prescelto (iuxta propria principia), le regole del sapere specialistico applicabili al settore dell’attività amministrativa sottoposta all’esercizio del potere regolatorio, ad evitare che la discrezionalità tecnica del decisore pubblico trasmodi in un incontrollabile, e dunque insindacabile, arbitrio. (v. Cons. St., sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5707 e Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856).


In conclusione quindi si evidenzia un preminente potere di controllo da parte dello Stato che mantiene un efficace controllo sulle preparazioni galeniche, a seguito di attività di monitoraggio ad opera dei NAS ed attività istruttorie svolte da parte dell'AIFA e dello stesso Ministero della Salute. Il medico quindi vedrà limitata la propria libertà imprenditoriale e scientifica ove ciò possa nuocere alla salute, o non vi siano sufficienti prove rassicuranti, mentre il Giudice Amministrativo è chiamato a verificare il rispetto delle regole delle procedure applicate, senza però perdere di vista lo scopo del legislatore, ovvero la tutela della salute pubblica di cui all'art. 32 della Costituzione.


Avv. Aldo Lucarelli

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